Weekend EXPO - parte prima

Fanculo le critiche, fanculo le polemiche, io all'Expo non vedevo l'ora di andarci.

Un weekend, un'amica nipponica con me, camera presa con AIR BNB a tre fermate di metro da Rho Fiera.

Sabato

Entrata rapida ai tornelli e su in quella bianca galleria di ferro che non fa altro che aumentare le tue aspettative e l'adrenalina mentre la percorri schivando i soliti americani grassi in infradito che vanno a 2km/h.
Sulla sinistra si cominciano ad intravedere le cupole grandiose di alcuni padiglioni e la fila all'altra entrata, quella in prossimità della stazione dei treni, con la gente brulicante stile formicaio impaziente.
Dinnanzi si staglia l'enorme sagoma del Padiglione Zero, tutta in legno semplicissimo e recante l'affissione “ divinus halitus terrae”. In quella posizione, fuori sia dal Cardo che dal Decumano ma precisamente davanti alle due entrate principali, richiede di esser visitato, predisposto ad essere il punto di inizio di questo viaggio all'interno di Expo.




1) Padiglione Zero

Mentre siamo in fila, dei tizi davanti “Ma non è che s'è sbagliato ed è la coda per il bagno?!”. Benissimo, si inizia così-
In realtà ci sono due file scorrevoli che ti immettono direttamente nella prima sala, quella della biblioteca del sapere umano che, secondo me, altro non è che la riproduzione di quella che usa Piero Angela per Superquark.
Si prosegue in una stanza buia dove bisogna stare attenti a non inciampare nel gigantesco albero madre che ha lì le radici e i rami che bucano il soffitto.
Terza sala fighissima, con dei pannelli a vetro contenenti legumi e spezie e dei monitor sospesi in mezzo alla sala dove scorrono le immagini di frutta e verdura raggruppate per colori e proprietà, suppongo.
Poi la sala dell'allevamento, con animali bianchi come il latte con tanto di banchi di pesce che penzolano dall'alto (vagamente inquietanti) e quella dell'agricoltura dove un assurdo omino indiano urlava a ripetizione e insisteva perché la gente camminasse in fila indiana, senza rendersi conto che così aveva intasato mezza sala. Prima prova di come in alcuni padiglioni tentino di controllare il flusso di persone con risultati spesso peggiori del lasciare la mandria semplicemente libera di pascolare.
Tornando al percorso, una nota al monumento allo spreco e al tabellone aggiornato direttamente con la borsa mondiale del mercato alimentare, davvero d'effetto.
Sul finale qualche cenno alle operazioni di sostegno di agricolture locali nei paesi del terzo mondo e altri vessilli filantropici.
Sicuramente uno dei padiglioni più suggestivi e dove ti senti toccato più da vicino.

Voto: per la suggestione e la sua natura fortemente rappresentativa non vorrei dargli un voto. (ma se proprio devo, sgancio un bell'8)















Uscendo di lì, senso dell'orientamento totalmente confuso, uno imbocca una via a caso e si ritrova nel Decumano. Un attimo di assestamento per coglierne la grandezza, chiedere conferme alla mappa, una sventolata di ventaglino di carta gentilmente offerto e via in carreggiata!
Nota bene: Sapevo bene che non sarei riuscita a vedere tutto in soli due giorni e avendo scelto di adottare la tecnica del “prescelgo i padiglioni che mi interessa di più vedere” , devo dire -ahimè- che non è stata sufficiente. Occorre infatti fare una divisione in zone così da rimanere in un'area circoscritta e non perdere tempo e gambe, devastate a forza di camminare in su e giù e dalle lunghe attese di cui a breve parlerò.
Col senno di poi quindi, in due giorni avrei organizzato le mie visite rimanendo un giorno entro il Cardo e uno aldilà di esso e si tratta comunque di zone ampie e belle piene di cose da vedere.

Comunque, il primo padiglione vicino che volessi vedere era quello della Corea del Sud e lì mi son fiondata, entusiasta.

2) Repubblica della Corea del Sud
Una sorta di gigantesca caverna bianca in pietra che prelude alla preistoria, mentre all'interno è tutto così moderno da farti sentire nel 2174.
Simpatica la parete con su scritti, 3d in fil di ferro, piatti provenienti da varie parti del mondo e state certi che sicuramente ci sarà il vostro preferito. Il mio c'era, mi fido, ma non l'ho visto che ero troppo impegnata a non farmi prendere un attacco di vertigini; odio stare in piedi ferma sulle scalinate. Per fortuna dopo poco la guida ha fatto salire al piano superiore. E qui prosegue la galleria d'arte moderna con cui uno ha già preso confidenza durante la fila per entrare, affiancata da vere e proprie installazioni artistiche che fanno molto pensare sul tema del cibo. D'effetto l'albero, sempre bianco, strozzato e tirato da corde nere o, giù di sotto, l'enorme pila di barattoli in alluminio a simboleggiare lo spreco.
Meravigliosa la parete dei pannelli che, visti in una certa prospettiva, restituiscono all'occhio l'immagine di alcuni frutti, anche esse in bianco e nero, colori dominanti del padiglione.
Poi il futurismo puro, con due braccia robotiche in continuo movimento e, dall'altra parte della stanzona, un gigantesco vaso in terracotta, nobile rappresentante della tradizione secondo cui i coreani terrebbero la maggior parte degli alimenti in
decantazione per mesi o addirittura anni in questi vasi. Vasi che ritroviamo poi in una stanza buia illuminata soltanto dai piatti virtuali che appaiono a deliziare gli occhi e ci guidano fuori.
A piano terra si possono ammirare degli splendidi serviti da te' laccati di rosso oppure neri e decorati con madreperla e gru, animale (come in Giappone) ben augurale.

Presenti anche lo shop e il ristorante.

Un padiglione molto ben strutturato e totalmente rispettoso dal tema nutrizione dettato da Expo.
Prima di entrare c'è un enorme palla con cui potete giocare a far delle foto in pose buffe e scherzose, poi caricatele su instagram col l'hashtag che è indicato lì accanto e potrete vincere qualcosa. Non sono ai livelli dei jappi, ma son pur sempre coreani e qualche cazzata non la disdegnano.
Coreanissime anche le hostess del padiglione, velocissime nelle loro ballerine bianche e super organizzate con auricolari e microfoni.

Voto: 9






Usciti dalla Corea, è tutto un succedersi di padiglioncini e cluster cioccolatieri.
Adorabile quello della Perugina per le confezioni e le idee regalo presentate a prezzi pure modici, devo dire.
Lindt molto professionale, con una mini coda all'entrata e un tizio elegantissimo alla porta. Dentro seguiamo il percorso del cioccolato e la sua lavorazione dalla fava di cacao fino al nostro palato, deliziato con assaggini offerti dai maitre' chocolatier e i loro cappelloni bianchi. Bancone espositivo (dove ovviamente il tutto è acquistabile) da urlo....son dovuta letteralmente scappare a corsa per non farmi prendere dallo shopping compulsivo.
Gli altri cluster riguardano perlopiù cioccolati nostrani (Modica...) e mi sono allontanata istintivamente da un palchetto con animazione umana dotata di microfono, gambe e braccia potenzialmente atte a trascinarti sopra e a farti fare chissà che. Ho sviluppato la capacità di riconoscere un animatore anche a distanza di km dai tempi dei villaggi turistici al mare, dove tutto quello che vuoi è startene tranquillo anche solo, sì, SOLO (parola talismano contro l'assurda politica della socializzazione forzata) e quando ne vedi uno, piuttosto che parlarci corri nella sabbia cocente e ti lanci in acqua.
Ora che ci penso, l'unica volta che cedetti, conobbi persone ganzissime con cui ancora adesso, dopo 8 anni, sono in contatto.
Ecco, magari potevo cedere anche stavolta in cambio di una barretta di cioccolato **

Subito dopo la cioccolata, l'altro elemento in grado di assuefazione e dello stesso colore marrone: il caffè.
I paesi africani, a parte l'Angola, non hanno padiglioni a se', ma si trovano tutti riuniti in questo enorme cluster dedicato a quest'unico prodotto.
Anche se - come la sottoscritta - non bevete mai caffè, andateci comunque a dare un'occhiata, che può essere interessante per gli aspetti culturali legati ai singoli paesi presenti che hanno portato oggetti tipici del loro artigianato.



In un tripudio di colori e simpatiche architetture che richiamano quelle del paese che rappresentano, proseguiamo per il Decumano. Siamo quasi a metà e a questo punto decidiamo di fare un giro veloce per farci un'idea di come son messe le cose e, visto che si avvicina mezzogiorno, anche a localizzare i punti ristoro.
Non ci vuole molto, perché proprio poco prima di incontrare il Cardo, si staglia sulla destra l'enorme area Eataly che, come suo motto, utilizza un verso di Bob Dylan che ancora devo capire.


Divisa per regioni, ognuna con le sue specialità tipiche, è una zona di grandezza industriale con un corridoio centrale e, ai lati ,due ali che si sviluppano su più piani. Non ho idea dell'organizzazione all'interno ne' della qualità (che, tendenzialmente, non dubiterei) dato che non ho mangiato qui e col senno di poi, come leggerete a breve, posso solo maledirmi per non averlo fatto, mannaggia a me!

Proseguendo nel Cardo, ci imbattiamo in tutte eccellenze made in Italy: Birra Poretti, San Pellegrino, Parmalat, una ditta che produce degli oli incredibili e dove vi consiglio assolutamente di passare anche solo per una degustazione (olio macerato con arancia? Pazzesco!). Ma, cosa hanno in comune tutte queste ditte? Liquidi e niente cibo e io comincio ad aver fame.


Dalla parte opposta, sfiorando Piazza Italia, spazio alle regioni italiane sì, ma anche qui senza l'ombra di un pezzo di pane. Poi, illuminata dalla luce della fame, mi accorgo che ogni 5 padiglioni circa ci sono delle file in legno chiaro e su due piani che ospitano ristoranti, bar, tabacchi (senza ricariche telefoniche) e toilette e così si ripetono uguali, ciclicamente. Inutile dire che mangiare lì non m'ispira per niente: sembrano quelle catene in cui ti infili per sbaglio o per disperazione quando sei all'estero e mangi di merda a caro prezzo.






Tra il caldo, la fame e il bisogno di mettermi a sedere mi rendo conto di essere in uno stato confusionale che non mi fa più ragionare razionalmente e, con un moto di disperazione, mi lancio dentro “Pizza piano”, “Piano pizza” o un nome simile. Penso che almeno ci sarà la pizza, che è sempre il male minore.
Come non detto, cioè, la pizza c'è...ma uno spicchio costa sei euro. Vi prego, uccidetemi.
Ma ormai sono incastrata nella fila col mio vassoino (si, tutti questi posti sono stile self service) e farò meglio a trovare qualcosa di mangiabile e che possibilmente non mi spilli troppo.
Alla fine 8 euro per una pagnotta cava ripiena di peperoni, melanzane e altre verdure miste. “Vuole aggiungere anche una bibita?” MA COL CAZZO.
I due tedeschi dietro di me spendono sulla 50ina di euro per qualche pezzo di pizza, due piatti di pasta, dolcino e coca.
Comincio a cogliere il paradosso di un'esposizione universale a tema “nutrire il pianeta”, “alimentazione sostenibile” etc etc. e poi trovare un'offerta del genere a questi prezzi assolutamente non sostenibili.





Fanculo, mi è anche esplosa a un certo punto.



Nota divertente: la terrazza al piano superiore era deserta, a parte un gruppo di autorevoli giapponesi che, anziché mangiare, avevano ripiegato su bicchierate di succo d'arancia. Bionici.

Dietro questa tavolata, due tizi schiantati sulle panche con tanto di piedi appoggiati sulle sedie, bocca aperta, occhiali da sole indosso e pantaloni calanti. I due dormiglioni avevano il gilet e il cartellino al collo ad attestare che fossero operatori Expo, cosa che rendeva il tutto ancora più schifoso e imbarazzante.
Capisco fossero 35 e passa gradi e alle due del pomeriggio è lecito accasciarsi da qualche parte in preda all'abbiocco, ma almeno fallo dove sei sicuro di non esser mai visto, soprattutto se dovresti esser lì a lavorare.



Per fortuna, un frastuono giù di sotto mi distoglie dallo spettacolo dei due dormienti.
E' una parata di giapponesi che trasportano degli enormi pali con attaccate centinaia di lanterne di carta a ritmo di tamburi.

L'11 luglio infatti, era il Japan Day con un programma di tutto rispetto:
alle 14 sfilata dei vari festival della regione del Tohoku, colpita dal disastro di Fukushima e per questo determinata più che mai a risollevarsi. Infatti, l'economia e il turismo ne hanno fortemente risentito, anche in zone della provincia molto lontane dall'epicentro e dove gli effetti del nucleare non sono stati così influenti nella realtà, quanto nell'immaginario.
Alle 17 concerto spettacolo di vari artisti e personalità del mondo dello spettacolo giapponese tra cui l'attesissima Kyaryu Pamyu Pamyu.




La parata è iniziata con Aomori e la sua scenografica sfida aerea. Faccio prima a farvela vedere che a cercare di descriverla:




Cercando su internet il festival originale ho trovato foto del genere





Pazzesco.


Le altre città si “limitavano” a tamburi accompagnati da balletti e una sorta di “urlatore” di motti propiziatori . Ritmi tribali dal fortissimo richiamo e altri più cupi, che mi ricordavano gli incitamenti degli huruk-kai quando tentano di sfondare il fosso di Helm.
La cosa che mi faceva morir dal ridere e rendeva il tutto ancor più gioioso, era la costante presenza di Hello Kitty addosso ai partecipanti. Infatti HK è stata scelta, in un'elegante versione in kimono, come mascotte del Padiglione e allora normalissimo vederla indossare da settantenni come foulard avvolto intorno alla testa, o stampata sui ventagli infilati nelle cinture dei kimono o, ancora, negli stendardi ufficiosi che indicavano le città partecipanti.















Finita questa splendida parata, che è riuscita ad affascinare perfino gente che il Giappone non sa neanche dove sia, ci fiondiamo all'Auditorium. Mancano quasi due ore all'apertura delle porte ma la fila è già lunghissima e va ben oltre il limite di 1000 persone da far entrare, causa capienza. La mia poca pazienza, minata dal ciclo e dal caldo torrido, non mi permettono di rimanere stabilmente in fila, sotto il sole. Dopo quasi un'ora, mi dileguo, abbandonando a malincuore la mia compare Mana-chan, ormai accanita e determinata ad entrare per vedere Kyaryu.

Mi ritrovo a vagare , fin quando non mi accascio per terra accanto a uno spinotto per ricaricare il telefono. Infatti, le varie zone adibite nei punti ristoro appositamente per lasciare il cellulare sotto carica, fin'ora non avevano disponibile il cavo per il mio (che è un iphone 5s, nulla di strano o raro). Anche nello stand dell'olio, zona Cardo, di spine apposta ce ne erano sì, ma non facevano.
Per questo sono dovuta stare mezz'ora a strasciconi in terra.
Già che c'ero, tappa ai bagni. Pulitissimi e numerosi, stile autogrill.

Mentre aspetto che la mia compare, che nel frattempo è riuscita -miracolo! - ad entrare nell'auditorium, ne esca, decido di andare a vedermi altri padiglioni. Rimane sempre inavvicinabile, dalle 10 del mattino, quello degli Emirati Arabi Uniti. Visto il caldo e la mia insofferenza escludo di mettermi in fila e punto a quelli a entrata diretta.
Spiegherò brevemente questa dinamica: se per entrare nello spazio espositivo c'è da aspettare un massimo di 6 minuti, per alcuni padiglioni la situazione è ben diversa e l'attesa può arrivare anche a due ore, in casi estremi.
Questo perché, per garantire una visita sicura e piacevole per tutti, le persone vengono fatte entrare a piccoli gruppi di 20-30 circa e capite bene che se in fila ce ne sono 300, gli ultimi arrivati hanno da aspettare un po'. Poi molto dipende dall'ampiezza degli spazi e da come è stata organizzata la visita; se ognuno sciolto per conto suo o passo passo con una guida.
Per evitarvi perdite di tempo, alla fine delle file ci sono dei cartelli informativi su quanto ci vuole ad entrare o, in mancanza, chiedete agli addetti lì fuori che qualcosa vi dicono.

In due giorni, ho riscontrato che i padiglioni con più fila e deduco quindi che siano anche tra i più visitati, sono:
Padiglione Italia
Padiglione UAE United Arabian Emirates
Padiglione Giappone
Padiglione Kazhakistan



 


Per visitarli senza aspettare un'ora minimo, l'unico modo è farsi trovare scalpitanti all'apertura dei cancelli e poi scattare come podisti verso questi padiglioni. Idea che hanno in molti, ma che comunque vi garantirà un'entrata più rapida del normale.

Capisco che questa cosa dell'attesa può scocciare ma, ripeto, è solo in alcuni padiglioni ed è per motivi logici e, soprattutto, di sicurezza. Quindi non lamentatevi.

Detto questo, un po' scazzata, mi sono infilata nella Spagna e nella Colombia.
Entrambe poco incisive, della serie che esci e non ti ricordi già più cosa hai visto, forse era meglio affrontare un qualcosa di più grande, fila inclusa anziché 'perder tempo' lì.
3) La Spagna è un immenso spreco di spazio verticale, dove son più le scale e le rampe da percorrere che le sale espositive. Carina la stanza con i piatti virtuali che formano delle parole sulle pareti, ma a parte quello...nada.
Voto: 5-





4) La Colombia lo spot di se' stessa e di cibo e alimentazione neanche l'ombra. Bello il finale con una canzone allegra che ti fa andare via il nervosismo accumulato durante i 20 minuti della visita.
Voto: 5

5) Mi son risollevata andando a vedere China Pavilion, quello con davanti il famoso campo giallo di fiori. Bellissimo sia dentro che fuori.
Impostazione museale, nel senso che uno entra e guarda e va dove vuole, senza guida che tanto è tutto spiegato benissimo nelle didascalie, senza fila e senza limiti di tempo per girarlo.
Tradizioni e cenni culturali con la lavorazione della seta e il cerimoniale del te' e un' enorme riproduzione di un campo di grano, caposaldo della loro agricoltura, in led che cambiavano colore.
Voto: 8,5





Riunitami con Mana (concerto durato solo un'ora), ci mettiamo alla ricerca di cibo e, consigliate da alcuni volontari, andiamo da Tracce. E' una delle tante catene presenti e sicuramente ha molta più scelta rispetto alle altre, tuttavia, pagare 13 euro e passa per una cotoletta con due patate livello mensa e una coca continua a parermi eccessivo.
E' sempre più chiaro che uno dei paradossi di questo Expo sia il promulgare cibo buono e sostenibile e di fatto essere i primi a non offrirlo.
Unica cosa buona di questo Tracce, è che la terrazza al piano superiore (completamente deserta) si affaccia sull'Albero della Vita e permette di godersi lo spettacolo.
Purtroppo abbiamo beccato un orario (le 20.00) in cui non era troppo esaltante e il tutto si limitava giusto a qualche fontana e a qualche fiore mentre le luci, essendo ancora giorno, si percepivano a malapena.
Non dubito che lo spettacolo serale (22.00-23.00) sia molto bello, ma a quell'ora eravamo già sulla via di casa, devastate.

I padiglioni chiudono alle 21.00 e, per il rotto della cuffia, siamo riuscite ad entrare nel 6) Vanke Pavilion, uno dei tre cinesi presenti.
L'architettura è in assoluto la mia preferita dell'intero Expo: scaglie di un rosso cangiante e disposte come su una coda di drago arrotolata.





Anche dentro è molto suggestivo, con uno scheletro di bamboo a cui sono appesi tantissimi mini schermi che trasmettono immagini della campagna, della raccolta e del mangiare a tavola, con piccoli intramezzi del caos cittadino.

Voto: 9


Uscite di lì, siamo rientrate nel Decumano, direzione metro e quindi casa-camera-letto-finalmente dormire.
Ma la lunga via da percorrere si è rivelata piena di distrazioni; infatti, molti padiglioni hanno terrazze ed esterni aperti e vivibili anche in notturna, tra ristoranti e attrattive luminose oltre allo spettacolo offerto dall'illuminazione delle bellissime architetture di alcuni.
Piaciuto moltissimo 7) l'Iran con una distesa di piante aromatiche e una terrazza che finisce nel ristorante interno, arredato con vasche e fontane.

Voto: 7,5




8) USA tutto aperto sempre, con una scalinata modernissima, pannelli informativi e giochi virtuali per socializzare anche con gli altri visitatori.
Bellissima la pavimentazione in legno riutilizzando quello storico di Coney Island. Quando ho letto da dove proveniva, mi son quasi emozionata.
Veramente pessimo, invece, il cartello con su scritto “Food of the future: food trucks” con la freccia che va ad indicare una zona ristoro terrificante, il cui puzzo si spande per decine di metri e che presenta i soliti hamburger, hot dog e patatine.
Ditemi voi cosa c'è di nuovo, salutare, sostenibile e nutriente? BAH.

Voto: 7-




Notevole anche l'esterno della Turchia, decorato con mattonelle bianche, rosse e blu che ricreano un ambiente veramente caratteristico e piacevole.
La Slovenia dj set fisso e ancora cibo e ristoranti in Austria, Belgio e Olanda.



Dopo una mezz'ora di zig zag da una parte all'altra, riusciamo a guadagnare l'uscita.

Fine prima parte



















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