Etichetta di comportamento a teatro #1
Qualche sera fa mi sono recata a teatro, attività che regala sempre esperienze interessanti a contatto più o meno diretto con il genere umano.
La serata era indetta dall'ambasciata giapponese per celebrare ancora una volta i 150 anni di buoni rapporti tra i nostri due paesi presentando uno spettacolo di teatro tradizionale; il teatro Nō.
Il pubblico era quindi composto per metà da italiani e per metà da giapponesi, con l'aggiunta di un piccolo gruppetto di americani che non si sa quale delle due lingue avessero potuto comprendere.
Dopo una precedente serata in galleria, con vertigini per tutta la durata dello spettacolo e caldo soffocante tra velluti e polveri, e un'altra passata in platea dove "wow sono a due passi dal palco ma ho l'avambraccio incollato al tizio accanto", stavolta ho deciso di provare i palchi.
Da grande appassionata di romanzi dell'Ottocento, quelli dannunziani su tutti, l'immaginario legato al palco è fatto di intrighi, sguardi seducenti e strategie di società, cappellini e merletti, dame dai lunghi guanti di raso e rumore di scarpette nel buio della sala. Da ragazzetta di 23 anni in jeans e sneakers, mi sono sentita quasi un'usurpatrice ad occupare le sedie che solo un secolo fa erano occupate da questi Signori e Signore. Immaginavo i giochi di sguardi incredibili da un palco all'altro, gli incontri fugaci tra le tende pesanti e il corridoio, dove si deve bisbigliare per non farsi udire.
Luci soffuse e bagliori d'oro dalle decorazioni neoclassiche. Baci d'amore e tradimenti vanno in scena fuori dal palco.
Poi il grande lampadario si riaccende gradualmente ed è tutto un fruscio di vestiti e saluti fugaci per tornare al proprio posto (se non si era già scappati fuori in qualche carrozza).
Questa è la mia immagine dei palchi e mentre mi trovavo lì continuavo insistentemente a pensarci.. Ad un certo punto mi sono ripresa e ho cominciato a guardare con più attenzione le persone che erano sotto di me, quelle davanti e anche quelle sopra. Dai palchi si ha una posizione privilegiata su tutto e niente sfugge, a parte il palcoscenico, se si vuole.
A metà spettacolo mi sono dunque resa conto che la gente cominciava a mostrare insofferenza, si agitava sulla sedia provando a trovare una posizione più comoda, nascondeva a stento gli sbadigli e cose così. I giapponesi già dormivano profondamente perché si sa, si addormentano sempre e ovunque e per loro è quasi un atto dovuto.
Poi son cominciate ad accendersi delle lucine tra le file di sedili. Una, due, poi tre, quattro.
Ho realizzato che fossero cellulari, dato che lì per lì mi sembrava talmente una cosa fuori contesto che non riuscivo neanche a concepirla.
Ok, magari qualcuno che controllava l'ora. Ma no, gente che rimaneva col telefono in mano anche per dieci minuti e, dal movimento della mano, si capiva che c'era una bacheca facebook da scorrere.
Credevo fosse buona regola comune di considerare i telefoni off limits a cinema e teatro, non fosse altro che auto-illuminarsi con un fascio di luce improvviso è un po' come dire "guardatemi sono un cretino! Sono proprio qua!" ma la gente pare non badare più a niente, senza pudore. Senza contare il disturbo agli altri che stanno guardando lo spettacolo e vorrebbero evitare di sentirsi attorniati da accecanti fasci alieni.
Tra i palchi di fronte al mio, ho addirittura visto un tipo col laptop e ne sono sicura perché sfoggiava con disinvolture una luminosa melina apple. Ora, qui abbiamo veramente passato il limite.
Un tempo si dormiva a teatro, un modo dignitoso era sprofondare lentamente nella seggiolina e abbandonarsi a un lungo e silenzioso ronfare nelle tenebre. Riaccese le luci ci si scuoteva e si faceva finta di niente, applaudendo con enfasi e guardandosi intorno sorridendo, ancora intontiti.
Anche la maleducazione non è più quella di una volta.
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